venerdì 15 gennaio 2021

L’ennesimo “posto preferito in Nuova Zelanda” di Silvia


E così, la mattina ufficializziamo la nostra partenza ai nostri amici. Il meteo prevedeva pioggia a breve, e le battute di pesca subacquea avrebbero subito un forte rallentamento, dato che uno squalo aveva sottratto metà dei pesci pescati dal nostro amico il giorno prima che arrivassimo, e quindi la sua donna doveva convogliare tutte le proprie preoccupazioni e quelle della madre di lui trasmesse via etere per mezzo telefono, addosso al nostro povero avventuriero. 
Ah, la sorte degli uomini, destinati ad incredibili avventure ma trattenuti dalle premurose femmine!
 
 
Così ci dirigiamo in zona Whangaroa (la dizione maori per “wh” a quanto pare è “F”), per il sentiero chiamato Duke’s nose, consigliatoci proprio dal nostro italico amico.
Nonostante la lenta partenza, grazie alla macchina per l’ora di pranzo siamo al sentiero, che però il nostro amico ci aveva descritto come un giro di 6,5 ore. Ma siccome la sua bella è colombiana e i sudamericani non sono proprio i camminatori più tenaci del pianeta, non eravamo troppo preoccupati.
La camminata è tutta nel sottobosco, e dopo un’oretta si arriva ad un tratto di fiume abbastanza calmo e profondo da poterci fare dei tuffi, come infatti stanno facendo i ragazzini che si arrampicano sulla parete di conglomerato a picco di esso. Silvia ormai si sente una veterana dei bagni in fiume (povera pivella, da lei i fiumi hanno temperature glaciali e questa pratica non è popolare) ed è tentata di fermarsi ma se per caso le 6,5 ore erano vere, rischiamo di tornare abbastanza tardi.
Il tratto popolare del sentiero termina dopo un paio di orette ad un “rifugio”, e da qualche parte c’è anche un traghetto che per prezzi diversamente modici riporta indietro, ma noi non siamo qui per queste cose e procediamo verso la fine del sentiero, trainati da Silvia che ormai ha ritrovato il passo trentino.
Appena prima della fine troviamo un corrimano che serve a superare la parte più impervia del percorso, ed in un Paese ubriaco di “healt and safety”, ci stupiamo che sia permesso a tutti di arrampicarsi lassù senza assicurazioni, ma meglio così per noi!
Ecco Silvia mentre finge chiaramente di non aver bisogno del supporto metallico




Ma smettila, lo sanno tutti che frignavi terrorizzata ad andare in su e Matteo ha dovuto stordirti e portarti su tipo sacco di patate!
No, in verità è stata brava bisogna dire, ma ancora più brava la ragazza colombina che senza esperienza alcuna, come prima volta ha fatto un percorso del genere!
Arrivati in cima la vista fa concorrenza a Raja Ampat in Indonesia dove sicuuuuuuuuuuramente vi ricorderete siamo stati (altrimenti per punizione leggete QUI)

Essendo in un viaggio con spazio ridotto, occorre riutilizzare i vestiti usati e sporchi quando si va a sudare, e come Silvia vi fa notare il risultato si sente


No dai, facciamone una bella

Mentre Silvia cerca di farsi amica una di quelle con gli yacht parcheggiati li sotto, Matteo fa foto della parte alta del corrimano metallico, tanto non ti invitano a salire Silvia, lo sai!

E così Silvia decreta che questo posto ha scalato la classifica addirittura sopra le colline di Christchurch! Quale sia la posizione finale non si sa perché ogni volta trova un nuovo posto preferito. 
Purtroppo però non c’è una rete estesa di sentieri qua intorno, ma dobbiamo dire che per una volta finalmente abbiamo trovato un sentiero con spirito italico, con uno scopo, al contrario di tanti sentieri in Nz che non vanno da nessuna parte e sembrano servire solo a far muovere le chiap....ehm, le gambe.
Alla fine ci abbiamo messo 4 ore a fare la camminata, con annesso bagno di Silvia nel fiume al ritorno.
Abbandonato il porto sicuro del campeggio a Spirits Bay coi nostri amici, ritorna il solito problema del dove dormire.
Matteo propone di fare 30 km e tornare a Mangonui in quel freedom camping dove avevamo conosciuto quel 68enne gagliardo che progettava di scrivere un libro sul sentiero nord-sud della Nuova Zelanda, almeno li sapevamo di poter stare, ma Silvia ha altre idee e lungo la strada vediamo un cartello con scritto ostello. Anche qui Matteo già sapeva che sarebbe stato al completo ma Silvia va a vedere. Il fatto che sparisca per 10 minuti fa capire a Matteo che ha trovato qualcosa, se non altro hanno molto spazio sul prato.
Scopriamo così che hanno abbastanza giro per non avete bisogno di essere su internet, basta loro il passaparola, e sono una coppia estremamente cordiale. Lui è italiano, interista sfegatato con tanto di targa che dice “CA1CIO the beautiful game”, e deve stressare la moglie a volontà perché lei rimane entusiasta de fatto che Matteo non segua il calcio e sia un ex cestista. Il marito allora dice “Allora puoi fare il portiere!”...
In questo angolo sperduto, pare che lui si vanti di organizzare la prima partita di calcio de nuovo anno, iniziando a mezzanotte nel Kahoe Stadium, ovvero il prato di casa loro.
La pioggia annunciata è in arrivo e noi di dover disfare la tenda sotto l'acqua non ne abbiamo voglia, così decidiamo di rimanere un paio di giorni.
Sembra impossibile che esistano ancora posti che accettano di buon grado che uno arrivi lì senza prenotazione ma solo perché ce lo ha portato la vita.
In casa c’è un bel tavolo di Kauri, gli alberi giganti neozelandesi che sono stati sterminati ed ora vengono conservati come se fossero reliquie, e anche il resto della casa è fatta dello stesso legno dal bisnonno di lei. Dicono sia un legno molto valido.
Il giorno dopo, per pranzo smette di piovere e, nonostante nella loro proprietà ci siano delle vasche naturali scavate dal fiume, ce le sconsigliano con quel tempo e così andiamo a Mahinepua, a fare un sentiero facile consigliatoci da loro.
Matteo come un monello iniziava a soffrire la vita a ritmo basso anche solo per un giorno e non avendo escursioni imbecillì da inventarsi era una vera palla al piede, così Silvia si rimette a studiare cosa fare nei pochi giorni rimanenti

Siccome l’ostellaro millantava che le sue pizze fossero veramente italiane, gliene abbiamo ordinato un paio per cena, ed in effetti per essere fatte in casa erano valide, ma non granché se vendute al pubblico.
Il giorno dopo andiamo a Kerikeri a visitare un mercato domenicale, dove dopo anni abbiamo occasione di provare l’Hangi, che sarebbe il cibo di questa parte di mondo, cotto sottoterra. Questo qui è cotto in un pentolone quindici è taroccato, e molto meno gustoso di quello che Silvia aveva assaggiato alle isole Fiji

A prescindere, forse anzi sicuramente la roba da mangiare più sana li intorno, e con un discreto successo fra i clienti.
È sabato ed in previsione del delirio totale del rientro, meglio portarsi verso sud, e raggiungiamo un altro campeggio DOC trovato da Silvia. Meno male che c’è lei che programma un minimo.
Matteo scopre con grande sorpresa che ora anche questo tipo di campeggi si può prenotare, gli dicono che è così da quando è arrivato il virus, prima era impossibile e chi prima arrivava meglio alloggiava.
Così creano un profile con password per il check-in con ricevuta inviata via email bla bla bla per piantare la tenda per terra e farsi la doccia fredda.
Speriamo in una tempesta solare che frigga tutta l’elettronica così che tutto ciò subisca un arresto perché la sensatezza non vi tiene passo.
Siccome le strutture che i neozelandianici usano da queste parti per campeggiare sono giganti e tutti hanno materassi più comodi che a casa, non si crucciano troppo di avere il terreno pianeggiante e ci vuole un po’ per trovare 2 metri quadrati in piano. Finita di montare la tenda verso le 17, sentiamo uno dall’altra parte della siepe che russa come un facocero. Matteo impreca e sposta la tenda più in là, ma forse meglio così altrimenti lo avremmo scoperto di notte. Rimane comunque dell’idea che i russatori andrebbero ghettizzati per permettere agli altri di dormire la notte nelle strutture condivise.
Strutture da campeggio ipertrofiche

Facciamo un breve bagno in mare perché le nuvole incombono come nel film indipendence day, ma alla fine il tempo si raddrizza ed esce un sole caldo.
Insomma niente di particolare, l’unica scenetta simpatica è mentre guidiamo in centro al paesello, allo stop Matteo vede davanti a se un ristorante indiano ed inizia ad intonare la musichetta angelica dei film e subito il neon dell’insegna si accende. Lo prendiamo come un segno premonitore e quindi a cena niente cracker e scatolette come programmato ahahah!
La notte passa e Silvia non dorme perché a detta sua non eravamo abbastanza lontani dal famelico russatore, e nolenti dobbiamo fare fagotto e scendere verso Auckland, e dopo una deludente puntatina ad una cioccolateria locale siamo già riluttanti a cotanta civiltade.
Con nostra sorpresa le code gigametriche non ci sono ed arriviamo a destinazione con molta facilità, e anche la città stessa sembra addormentata, probabilmente in tanti staranno una settimana in più in ferie.
La seconda parte del nostro racconto non deve essere stata molto entusiasmante ma crediamo che la prima sul giro in bici sia particolare, o almeno lo è stata per noi.
Per salutarvi ecco un video riassuntivo di una decina di minuti sul nostro giringiro. Troverete qualche pezzo inedito se avete pazienza.
Le canzoni sono quelle che si sono piantate in testa a Matteo all'inizio del giro e che ha fischiettato tutto il tempo, quindi siate clementi!


Un abbraccio a tutti!

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