venerdì 27 dicembre 2019

Ipoh e la cortesia malese


L’inizio ad Ipoh è stato un po’ diverso dal solito. Silvia aveva prenotato un posto economico che sembrava impossibile da trovare, tra l’altro in Asia un po’ tutti sono nel loro micro universo di casa-lavoro quindi nessuno manco dei due negozi di fianco a quella che pensavano fosse l’entrata sapeva nulla di questo fantomatico ostello, ma questo non ha impedito loro di farsi in quattro per risolvere il nostro mistero, facendo chiamate a destra e a manca per far finalmente arrivate una addetta alla pulizie che ci ha aperto la porta per condurci al nostro buco umido...
 
 
Siccome lo spagnolo non si era organizzato per trovare da dormire abbiamo preso la palla al balzo per bidonare il nostro alloggio (perdendo ben 8 euri) e ci siamo messi a cercarne uno per lui e per noi. Per farla breve Silvia ad un certo punto gli ha detto dove prenotare e noi abbiamo trovato un altro posto per la prima notte, per poi andare nello stesso ostello la seconda notte. 
Quindi, tra il viaggio in bus della mattina e sto imprevisto dell’alloggio, prima delle 15 non eravamo liberi. Così abbiamo deciso di fare un giro per la città.
Ipoh ha un suo carattere, ma non è niente di particolare. Il fiume taglia a metà e divide la città vecchia da quella nuova, in quella nuova c’è il motore turistico con alloggi e cibo, quella vecchia invece accoglie il turista in questo diorama da vetrina, da girare a spasso con i soliti murales in stile Penang per abbellire certi scorci



Nella classica viuzza spennaturisti, Matteo ha deciso di tastare le sue papille gustative sottoponendosi ad una cospicua dose di durian, “il re dei frutti”, protagonista del sud-est asiatico per la passione dei locali e la repulsione dei turisti. È un frutto puzzolente dal gusto inspiegabile, che dopo l’ultimo incontro Matteo ha definito come frutto marcio. Tanto per farvi capire, il suo odore è così pressante che mentre Matteo girava per alberghi ed ostelli in cerca di una sistemazione, ha trovato questo cartello in una reception

Un semi-parente del durian è il jackfruit, che ha punte molto più arrotondate e dimensioni in genere maggiori, e sa di gas.
Meraviglie di questa parte di mondo.
Lo stile di questa città è mantenere gli edifici in decadenza ma renderli fruibili, ad esempio hanno fatto un piccolo centro commerciale in un complesso di case dove sono cresciuti degli alberi un po’ in stile Angkor Wat, ma semplicemente hanno allestito le attività commerciali aggirandoli, alcune delle quali hanno l’albero dalle radici tentacolari in mezzo al negozio. 



Stile interessante.
Trovare da cenare la sera non è stato semplice, tra lo spagnolo che continua a lamentarsi dei prezzi (ma a giustificare i prezzi esagerati della Nuova Zelanda, come se qui la roba la dovessero regalare e vivere tutti di gloria), e a dire “se non ci ammaliamo qui non ci ammaliamo mai più!”, e la poca collaborazione locale, perché per un motivo o per l’altro tanti posti sono chiusi (forse per Natale?) ed altri come quello dove ci siamo seduti che vendeva solo riso, pollo e bibite all’arancia, al che Matteo si è alzato e se ne è andato e dopo poco ha trovato una schiera di bancarelle che vendevano cibi che non sapevamo decifrare, ma almeno c’era scelta.


L’indomani mattina partiamo per fare un po’ di sano trekking, che come sicuramente ricorderete è una delle attività più soddisfacenti da fare in Malesia (almeno secondo Matteo). Grazie all’omino della reception scopriamo che in Malesia, Uber è stato bannato o comunque “acquistato” da Grab, che anche qui si occupa di tutto, dai taxi alla consegna cibo ecc. Siccome siamo in 3, il costo procapite di un mezzo del genere si abbassa notevolmente, e quindi facciamo i vip (rispetto a come siamo abituati a spostarci quando siamo in due o da soli).
Ci facciamo portare a Gunung Keledang, o kledang hill, per cominciare a camminare, ma l’autista ci porta nel parcheggio sbagliato. Piccola parentesi, nonostante fosse nato e vissuto in Malesia (ormai i capelli erano tutti bianchi), lui si descriveva come cinese, e questo è uno degli aspetti che Matteo ricordava e lo avevano lasciato sorpreso anni fa: nonostante da secoli questi popoli vivano assieme nello stesso Paese, non c’è nessuna mescolanza e gli indiani stanno con gli indiani, i cinesi coi cinesi, i malesi coi malesi e via dicendo.
Questo da una parte è un bell’esempio di convivenza quando a distanza di poche strade si hanno templi indù, templi cinesi, chiese cristiane, moschee ecc, ma dall’altra parte a Matteo pare proprio che questa gente non si senta parte di un unico, ma di fazioni.
Mi direte, dove le differenze etniche non esistono, pare che gli uomini ne abbiano bisogno e le creino comunque, vedi i tifosi delle squadre di calcio, le contrade del palio di Siena, e via discorrendo, come se ci fosse un bisogno di separarsi invece che avvicinarsi, ma sta di fatto che dal punto di vista etnico Matteo si domanda spesso se ci sia una risposta al razzismo, seppur assai blando, quando neanche popoli che convivono da secoli sono in grado di concepirsi come un unico.
Fine del pistolotto.
A parte questo, nel parcheggio ai piedi del monte c’erano altre scimmie, di una specie differente da quella dell’altro giorno

Dopo aver camminato per una manciata di minuti sulla strada asfaltata che conduce in cima al monte salutati ogni 30 secondi da persone sorridenti e cortesi (gli abitanti della Malesia sono forse gli unici asiatici che abbiamo visto che fanno attività fisica all’occidentale) con i quali Matteo ha potuto sfoggiare il suo scarso vocabolario cantonese, un uomo di origini indiane ci viene incontro e nota la nostra perplessità sul fatto che non eravamo sul sentiero ma sulla strada, e si offre di accompagnarci all’inizio del sentiero.
È stata un’occasione estremamente preziosa ed interessante per Matteo per partire con la sua famigerata mitragliata di domande (che tutti definiscono da bambino perché le domande si susseguono senza sosta) per capire meglio un’altra cultura, nello specifico quella indiana ed indù.
L’uomo ha risposto a tutte le domande con il tipico garbo di queste genti, mentre ci portava al sentiero, ed appena imboccatolo un ragazzo ci viene incontro dicendo “state attenti ho appena visto un pitone, avrà due anni, grande così”, e facendo con le mani un cerchio grande come una melanzana, indicandone forse il diametro.
Per coincidenza il signore indiano ha detto “io allora vi lascio che devo tornare indietro”, ma a dire il vero aveva dirottato il suo giro già di una ventina di minuti.
L’idea del pitone ha terrorizzato Silvia che ad un certo punto dalla tensione voleva tornare indietro, ma Matteo è riuscita a convincerla ad arrivare fino all’intersezione con la strada, che avremmo poi preso in discesa per tornare al parcheggio con le scimmie.
Ormai veterana di mille avventure Silvia ha resistito e completato la sfacchinata, in un bagno di sudore data l’umidità eccezionale del luogo. Purtroppo nessun pitone per Matteo, ma a dire il vero mentre il signore indiano ci portava con lui, abbiamo visto un bel cinghiale sopra la strada, che poi si è dileguato.
Arrivati all’intersezione Matteo si è fermato sotto la tettoia ad ammirare un cinese fare i suoi esercizi fisici, mentre si picchiettava con le dita unite in cima alla testa per poi “tossire” tre volte, e Silvia si è fatta spiegare che il punto in cima alla testa fa parte della mappa dell’agopuntura. Insomma anche queste cose sono affascinanti.
Tornando al parcheggio abbiamo visto una miriade di gente attempata (per non dire anziani) su per il sentiero a tenersi in forma, addirittura uno che correva in salita e Matteo pensava che allo stato attuale probabilmente non sarebbe stato in grado di stargli dietro.
A pensarci bene, che vergogna...
Quindi Silvia è andata a farsi il massaggio tanto agognato nei mesi e negli anni e gli altri due invece avevano come obiettivo l’esplorazione di una caverna con sezioni da immergersi, a 23 km da Ipoh, ovvero Tempurung Cave.
Purtroppo contrariamente a quanto diceva il cartello, il giro con immersione era concluso (e comunque non erano attrezzati con borse stagne ecc), quindi si sono dovuti accontentare di una camminata nella grotta, veramente di dimensioni notevoli ma con decisamente troppo cemento e passerelle per i gusti di Matteo. Ne è venuta fuori una camminata insipida, con uno scorcio notato per caso che Matteo dedica a tutti voi adorati lettori

Il ritorno è stato interessante perché non sapevano come tornare in città non avendo internet per prenotare un “grab” (e Matteo vuol vedere quanto ci vuole ancora perché maturi il buon senso di spendere pochi denari per una sim locale, ma per il momento tace), e così ha iniziato a guardarsi in giro per risolvere la situazione. Mentre aspettava il suo spuntino, nota due ragazze sedute col cellulare in mano e capisce che stanno aspettando anche loro un taxi che non arriverà, e quando capisce che non saranno di aiuto va in giro a chiedere a tutti un passaggio. Alla fine l’addetto al parcheggio decide di aiutarlo e si mette a fare una serie di telefonate, poi gli indica due che stanno tornando alla macchina e di provare con loro. Subito dicono di essere diretti da un’altra parte, ma poi le parole de parcheggiatore fanno cambiare loro idea.
Un breve passaggio si trasforma in un viaggio fino ad Ipoh, perché dicono che essendo in vacanza per qualche giorno senza prenotare, passare una notte a Ipoh ci poteva stare, ed una volta arrivati avrebbero cercato una sistemazione.
Come dice il titolo, avete potuto vedere quanta cortesia c’è in questo popolo, in mille piccole cose, compreso il tizio che ha pagato l’ingresso al gabinetto a Matteo per non fargli mettere mano al portafoglio.
Il tizio del passaggio in macchina ha spiegato che ogni stato della Malesia ha un proprio re, e ogni 5 anni a rotazione uno di questi re rappresenta l’intero Paese.
La serata si conclude in tema, quando un tassista Grab che ci doveva portare per una distanza minima, decide di offrirci la corsa perché è la nostra prima volta in Malesia! Fantastico.
Alla prossima puntata!



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