sabato 30 maggio 2015

Vagando per il centro-nord della Thailandia

Finita l'esperienza culinaria, si presentava l'interrogativo della prossima tappa. Non sapevamo se andare verso Pai al fresco, o ricacciarci verso sud a cuocere. Dato che, probabilmente, le attività da fare a Pai sarebbero state a caro prezzo come trekking o incontri con elefanti o gironzolare in motorino, abbiamo deciso di andare a Sukhothai, fidandoci di Matteo e della sua esperienza passata.
La mattina seguente quindi abbiamo raggiunto la stazione dei bus di Chiang Mai e abbiamo fatto colazione al centro commerciale li dietro, in modo molto stressante visto che Matteo stava ancora male e non sapeva cosa mangiare e Silvia non riusciva a farsi servire qualcosa che non fosse ghiaccio e zucchero.
Sul bus per Sukhothai abbiamo incontrato una coppia bresciana in viaggio di nozze zaino in spalla. Avevano già un nome di un posto dove dormire decente, ma noi ci siamo affidati al verbo di GuideWithMe (è ora di promuovere la libera informazione! Basta con la gente che compra la Lonely Planet e poi se ne lamenta!) e abbiamo trovato un posto passabile proprio di fronte alla stazione dei bus, con noleggio biciclette in omaggio, a 14 km dalla città vecchia, distanza che, il giorno seguente, abbiamo coperto in bici, per la felicità di Silvia che poteva finalmente sgambettare come le piaceva tanto fare con la sua amata Amelie.
 

 
 
Siamo partiti abbastanza presto e il caldo non era eccessivo (e comunque niente a che vedere con quello che aveva stordito Matteo a novembre) e siamo arrivati a tempo con i bresciani. Il giro è stato tranquillo e senza le sfacchinate di Matteo dell'altra volta, e abbiamo fatto due chiacchiere con loro. Quando poi volevano vedere il Buddha gigante, Matteo se l'è tirata da esperto giramondo e li ha fatti passare dal retro, evitando di pagare 100 Bath a testa. Bello ed esperto: donne, che volete di più?
Il Buddha gigante non si riusciva a fotografare..vi mettiamo uno Buddha alternativo.
Quindi li abbiamo salutati e siamo tornati alla guesthouse, in tempo per una bella doccia e riprendere il bus per....dove? Altro dilemma. Abbiamo cercato info su Phimai e Phanom Rung, entrambi siti interessanti di rovine, ma sarebbero stati interessanti solo per Matteo e non sembravano molto grandi, così abbiamo dirottato su Ayutthaya, che a novembre Matteo aveva saltato (fidandosi delle recensioni su internet).
È nostra opinione comune che Ayutthaya sia molto più bella di Sukhothai: mentre la seconda è lontana dalla città moderna ed il sito principale conta poche rovine, Ayutthaya è completamente mescolata con la città moderna, il che la rende più vissuta e permette di fare anche delle soste diversive. Le rovine inoltre ci sono sembrate più interessanti.
Ad ogni modo, il bus da Sukhothai, in ritardo di due ore, ci ha mollati in mezzo all'autostrada, a 10 km dal centro, al buio, con l'unica opzione di un taxi che ci è costato quasi quanto il bus da Sukhothai. Trovar un posto per dormire è stato un altro parto ma ce l'abbiamo fatta!
La mattina seguente abbiamo noleggiato delle bici e siamo partiti per il giro della città, prima fermata il Wat Mahathat, con la famosa testa di Buddha avvolta dalle radici dell'albero. 
Di templi interessanti ce ne sono a bizzeffe, che è inutile stare ad elencarli tutti.

Uno però che ci teniamo a mettere in risalto è il Wat Chai Wattanaram, che è molto defilato e sembra passare un po' inosservato, ma è forse il complesso più interessante e meglio conservato che abbiamo trovato, inoltre dall'altra parte della strada davanti all'ingresso, c'è una signora che vende zuppe squisite a 20 bath, il pasto più economico che abbiamo mai trovato in Thailandia, e noi non siamo affatto amanti delle zuppe...

Un altro messaggio che abbiamo per gli australiani: guardate cosa si può fare con dei mattoni, altro che le vostre case orrende!  

  Durante il nostro giro abbiamo anche visto gli elefanti!
Il primo era molto attratto da Silvia e quando lei lo affiancava per osservarlo, lui/lei girava all'improvviso nella sua direzione. Poi siamo passati davanti anche al posto dove vengono "parcheggiati". 
Ci hanno fatto un gran pena poverini, lì in attesa che qualche turista pagasse per essere portato sulla sua schiena. Gli ele-fantini (AHAHAHAHAHAHAHAH...........) tra l'altro hanno un bastone che sulla punta ha una specie di picchetta appuntita e ricurva, che serve per comandare l'animale. Quelli che abbiamo visto qui non sembravano avere particolari segni sulla testa, ma su internet abbiamo visto foto di questi animali con profonde ferite sulla testa causate da questo mezzo di controllo. 
Matteo è riuscito a sfiorare la proboscide di un cucciolo abbastanza cresciuto, e hanno la pelle assai spessa e i peli sono come setole! Anche Silvia avrebbe voluto, ma aveva troppa paura.
A fine giornata, Silvia trova una specie di agenzia turistica che sembrava più una comune: i figli della titolare sdraiati per terra, o su un divano, o a giocare al computer, ma il prezzo che ci ha fatto per la destinazione successiva, era il migliore di tutti.
Cercavamo infatti di raggiungere Ko Chang, isola a est del Paese, quasi al confine con la Cambogia, nella speranza di poter andare a fare l'ultimo bagnetto e vedere gli ultimi pesciolini.
La proposta della tizia sapeva un po' di scam: avremmo dovuto prendere un tuk tuk alle 5 del mattina, che ci avrebbe portato alla stazione del treno di Ayutthaya e ci avrebbe comprato il biglietto del treno di terza classe, che in due ore ci avrebbe portato alla stazione di Bangkok e, dopo un'ora, un tizio ci avrebbe incontrato sotto l'insegna di un fastfood per accompagnarci su un bus che ci avrebbe trasportati fino all'isola.
Non ci crederete, ma è proprio quello che è successo.
Certo, abbiamo provato a chiedere delle prove e garanzie ma la tizia sembrava convincente e ci siamo fidati (anche quando ci ha dato dei paranoici...peccato che il giorno prima eravamo stati abbandonati in autostrada!)
La mattina seguente, saliamo quindi su questo treno thailandese di terza classe, molto dignitoso dobbiamo dire. I sedili ci aspettavamo fossero in legno, invece erano in finta pelle, molto comodi. Ci sono pochi posti a sedere e molto spazio per stare in piedi...struttura che si dovrebbe pensare pure in Italia! Inoltre  il treno é partito e arrivato in orario!
Appena entri c'è un omino con due grandi ceste ricolme di sacchettini pieni di cibo, riso con carne o verdure, quei miliardi di sacchettini che sono onnipresenti nel sud-est asiatico e ti chiedi dove andranno a finire, una volta vuoti. E l'omino è molto indaffarato, a preparare altri sacchettini, a mettere in ordine, si alza, si siede. Vorresti fare una foto a questo esempio di autenticità locale.
Poi ti fermi a ragionare un attimo, e ti chiedi "perché dovrei fare una foto, come se fosse una cosa stravagante? Questo tizio vende sacchettini pieni di riso condito, dovrebbe essere normale, anche da noi, anche se sono le 5 del mattino e un altro passeggero è lì che sceglie accuratamente la sua economica colazione. La foto dovrei farla ai bar occidentali, che portano le loro schifezze anche qui ovviamente. Sarà più stravagante un pacchetto di ringo, oppure uno di fonzies, o un qualsiasi dolcetto, barretta energetica-dietetica, pacchetto di patatine o coche cole varie, con i loro conservanti e le loro porcherie. Gli snack occidentali meriterebbero una foto come per dire "guarda che roba strana mangiano da queste parti", piuttosto che un misero sacchettini di riso, che dalla terra arriva nel loro stomaco, senza passaggi industriali avvelenatori!".
E cosi immaginatevela questa scena, e iniziate a ridere dello stile di alimentazione cui invece siamo purtroppo abituati grazie a mamma TV.
Tra l'altro, il treno di terza classe, per i thailandesi è gratuito e, per ottenere il biglietto, devono esibire un documento. Noi stranieri paghiamo 20 bath per un viaggio di due ore fino a Bangkok.... Ovviamente, una realtà povera mostra sempre molta dignità, e le uniche scritte che ci sono sui muri sono i numeri dei posti a sedere, come se servissero a qualcosa. Qui nessun ragazzetto annoiato si è divertito a imbrattare sedili o pareti con varie scritte. I controllori arrivano e controllano il biglietto appena ti siedi. Probabilmente gli unici soldi su questo treno li abbiamo portati noi vista l'ora, ma la sensazione è di efficienza, senza scenari da carro bestiame clandestino che un italiano è abituato a vedere in Italia. Arrivati in stazione, sopra la media di quelle italiane, pulita e con molti posti a sedere (sottolineiamo i POSTI A SEDERE, perché in Italia pare che per fare una delle famigerate "grandi stazioni", basti una miriade di schermi televisivi che sparano pubblicità, invece che delle sedie per riposarsi durante le attese....) ci dirigiamo a far colazione alla cosiddetta "food court" cioè una sala da pranzo con vari stand (molto puliti) dove puoi scegliere il tuo riso con diversi intrugli..il tutto per pochi spiccioli. Sempre all'interno della stazione ci sono altri bar da occidentali tutti costosi e con qualità scadente. Ci dispiace pensare che magari quei posti una volta erano occupati da thailandesi che vendevano il loro riso o la loro frutta. 
Dopo due orette dovevamo farci trovare da un tizio X che ci avrebbe portato al bus o meglio che ci avrebbe dato il biglietto del bus e del traghetto. Eccolo, puntualissimo! Il bus si trova dietro la stazione ma si ferma solo perché abbiamo "prenotato" con questa agenzia non perché sia una stazione vera e propria. Dopo alcune ore arriviamo vicino a Trat e ci portano con un bus aperto al porto. Silvia si chiede perché non potevamo camminare, visto che distava 5 minuti a piedi ma visti gli altri turisti e i loro trolley, ci siamo capiti. Dopo 45 min arriviamo al porto e qui ci facciamo furbi, andiamo subito con il songthaw insieme agli altri, così paghiamo meno ...Dumaguete insegna! 
Tutti tranne un tizio si fermano molto prima della nostra meta e il tizio (non ricordiamo il nome) ci chiede perché abbiamo deciso di andare in un posto sperduto dell'isola! 
Almeno l'ingresso del posto, la sera, era carino...
Non lo sappiamo. Il songthaw ci ferma a Bang Bao dove camminiamo per trovare il nostro "bungalow", forse bunker sarebbe più appropriato. Tizio, a cena, ci racconta di essere stato in Thailandia tantissime volte e ci porta a conoscenza della malaria in quest'isola. Dice di aver affittato la sua casa a Londra e di viaggiare con quei soldi e di essere comunque riuscito a risparmiare. Dice anche di aver perso l'emozione del primo viaggio, di essere viziato ormai in quanto bellezza dei posti e di voler stabilirsi in un posto, non a Londra ma magari in una comunità di espatriati in Colombia, dove ha trovato la "sua casa". Tutte affermazioni in cui Silvia si ritrova.
Anche lui come noi vorrebbe andare a Koh Kood, cioè un'isola che sembra essere un paradiso. Essendo bassa stagione, il trasporto pubblico da dove siamo non esiste e bisognerebbe affittare una barca privata ed in tre persone é fattibile. Anche il tempo però non é in nostro favore e ci accordiamo di trovarci la mattina dopo per decidere sul da farsi. 
Verso le undici del mattino seguente decidiamo di averlo aspettato abbastanza, visto che non si svegliava neanche bussando alla porta e quindi ci incamminiamo verso Bang Bao. Ci raccoglie una macchina e la coppia, un canadese e una inglese che vivono a Bangkok, dicono di non andare a far snorkelling perché é la stagione sbagliata. Ci scaricano a Bang Bao dove troviamo Audrey, una ragazza belga, anche lei in preda al "panico-di-cosa-fare-su-un-isola-quando-piove". Silvia la invita ad aggregarsi e così giriamo varie scuole di diving e anche loro sono titubanti riguardo alla qualità delle immersioni in questa zona e questo periodo. Parte allora la missione suicida zero speranze: trovare un posto per la notte, magari con una bella vista per il tramonto, visto che tanto ormai era troppo tardi per lasciare l'isola. Seguendo vaghe informazioni trovate per sbaglio su internet, andiamo sicuri verso un posto economico e, dopo una camminata estenuante, scopriamo che il posto, di economico, non ha proprio niente, anche perché ci sono tre giorni di festa nazionale e i thailandesi hanno prenotato tutto.
Grazie a brevi tratte in autostop e ad un taxi, ritorniamo alla sistemazione da cui Audrey era scappata perché l'acqua faceva pena in termini di trasparenza. Il nostro proposito di guardare sott'acqua viene quindi accantonato...
Allora ci mettiamo d'accordo su cosa fare il giorno seguente, e più o meno decidiamo di affittare dei motorini e fare il giro dell'isola. A cena ci porta nel suo ristorante di fiducia ed in effetti è possibile osservare il cuoco lavorare e sono molto puliti.
La giornata, un po' noiosa, finisce con un gran bel tramonto, che colora di giallo e arancione tutta la scena.
Mattina seguente quindi troviamo dei motorini messi abbastanza bene, ma Audrey non aveva mai guidato un motorino in vita sua (e scopriamo essere una cosa comune tra i turisti in Thailandia, ecco perché in così tanti sono disintegrati e pieni di cerotti). Quindi la partenza è molto, molto lenta, ed inoltre la strada ha salite e discese molto ripide. Quindi Matteo deve portare il suo motorino in cima ad una salita dopo che era uscita di strada, e poi dobbiamo procedere a 25 km/h perché non si sentiva di andare più veloce. Alla fine il motorino, quando stai in equilibrio, è a prova di stupido, ma per lei la guida nel traffico era troppo stressante e dopo aver speso i soldi quasi per un pieno, decide di rinunciare ed aspettarci al molo in cima all'isola mentre noi continuiamo il giro. Ovviamente il traffico finisce al molo e la restante metà dell'isola è deserta, cosa che permette a Silvia di provare a guidare il motorino. Dopo un breve briefing sull'importanza di sapere dove sono i freni, con cautela parte e va....solo che a Matteo fa una paura bestia, perché arriva appena al pavimento, e la cosa non aiuta in caso di perdita dell'equilibrio. Quindi ok, brava, ora levati di mezzo....e via a frustare i cavalli!
Nella metà occidentale dell'isola non c'è niente da sottolineare, se non la strada contornata da fiori gialli, ma la baia a sud è pure peggio dei posti che abbiamo visto il giorno prima (tra l'altro la rete stradale dell'isola è a ferro di cavallo, perciò se uno da sud ovest deve andare a sud est, deve girare tutta l'isola, ma va anche detto che Tizio ci ha raccontato che 10 anni fa non c'erano manco le strade qui). Recuperiamo quindi Audrey, che chiede a Silvia se si sente di portare lei il motorino indietro. Silvia accetta entusiasta, finché Matteo non la riporta alla ragione..cioè le ricorda la sua nanezza. Per evitarle altro stress, torniamo indietro ancora più lentamente. Noi restituiamo il motorino quasi a secco, lei quasi pieno. Un bel bagno non ce lo leva nessuno, e scopriamo che l'acqua è tipo a 30 gradi, cosa che Silvia apprezza parecchio.
È tempo di pensare alla prossima tappa e Audrey non sa che fare e si aggrega a noi che siamo diretti a Phetchaburi, dove si possono vedere le statue di Buddha nella grotta. Prenotiamo quindi un mini van per Bangkok, fermata Victory Monument, dove poi prenderemo un altro van per Phetchaburi. Il viaggio è un supplizio e, mentre nei posti di fianco al guidatore, la gente non si accorge di niente, Matteo è costretto a salti che lo staccano dal sedile dati i buchi nella strada.
Silvia trova su internet il nome di un posto per dormire e li ci dirigiamo a piedi, ma dopo poco una coppia giovane ci offre un passaggio in macchina...peccato non succeda quando la strada da fare è tanta! Per risparmiare prendiamo una stanza in tre, dopo che le capanne di bamboo, molto economiche, erano ricoperte di escrementi di topo.
Così cena al mercato e l'indomani mattina prendiamo delle bici e tocca a Matteo fare da guida turistica. La caverna è sempre molto molto scenica, ma la cosa che più colpisce le ragazze sono le scimmie, che le scippano anche del sacchettino dei frutti. 
La giornata continua in giro per i templi della città e finisce con il ritrovo con Sitthichai e Luna, che avevano ospitato Matteo la prima volta. Sono sempre molto carini e gentili e parlare con loro ha sempre il gusto di un confronto vero con un'altra cultura e altri costumi. Si finisce in una gelateria, dove il destino beffa nuovamente Silvia, che ancora una volta ha dovuto sentirsi dire "il gelato al thè verde lo abbiamo terminato".
La mattina seguente raggiungiamo Bangkok, salutiamo Audrey (esperienza terrificante-pigna-in-c*** per Matteo, esperienza buona-mediocre per Silvia) e ci apprestiamo a visitare la città.
Durante il soggiorno, Matteo ha potuto visitare la casa di Tiziano Terzani, la famosa turtle house. Per raggiungerla basta seguire le ottime indicazioni reperibili su questo sito
Ma il ristorante non c'è più. Fuori ci sono i cartelli "vendesi" o " affittasi", e Matteo, dopo l'iniziale titubanza, ha bussato e gli ha aperto il custode, lo stesso di cui leggete nel sito, molto molto gentile e disponibile. Matteo, per evitargli le solite domande, non ha chiesto nulla sull'illustre occupante, ma il custode ha detto che vengono molto italiani a vedere il posto.
E anzi, ha detto "quando torni in Italia, dillo che la casa è in affitto o vendita!". Il prezzo è 100 mila bath al mese, e ha bisogno di una manutenzioncina. Se vi interessa, sapete dove andare......
Ciauuuuuuuuuuuuuu




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