sabato 16 aprile 2016

Diario di viaggio: Myanmar 2016 - Mandalay

Prigionieri del Thingyan

Il taxi dall'ostello all'aeroporto lo abbiamo diviso con una coppia forse inglese, terrorizzati perché una mail annunciava loro l'anticipazione del volo di un'ora e quindi volevano essere lì tre ore in anticipo. Durante il viaggio ci hanno un po' raccontato il loro punto di vista sul paese. Si sono presi un anno per viaggiare e ora mancavano due mesi al rientro. Li abbiamo rassicurati.
Il nostro check-in è stato il più corto della storia, con la soprannominata KGB invece di Air KBZ,  è durato 37 secondi senza controllo passaporti. Ci hanno dato lo sticker che vedete qui sotto e il biglietto con gate a scelta (ahahah)
 
 
 
I posti a sedere con Air KGB sono più spaziosi che con le compagnie internazionali, ma per il resto è tutto molto basso e stretto, dal corridoio al bagno. Tutti gasati per il pasto che ci viene servito, Matteo rimane deluso da quantità e qualità, Silvia invece è solo contenta di mangiare. Sforzo lodevole, tuttavia.
Sul volo una signora di mezz'età chiede a Matteo se abbiamo già un taxi che ci aspetta...ceeeerto, come no! La limousine!...vabbè, comunque propone di andare col suo tassista di fiducia per dividere le spese.
Così per la prima volta in assoluto usciamo da un aeroporto e ci infiliamo dritti in un taxi senza la solita trattativa infinita. Lei è finita qui tramite un progetto di sviluppo mezzo inglese per insegnare appunto la lingua, è un po' faceva sorridere la sua ingenuità, perché probabilmente la sua era una storia di vita, non di viaggio. Non si sarà preparata, non avrà studiato, semplicemente il lavoro l'ha portata qui. Una storia quasi da film forse.
Durante il tragitto, Matteo non perde l'occasione, avendo davanti un birmano che parla inglese (l'autista) di fare le sue domande. La prima è come mai le stupa (o stupe?) abbiano quella forma. Il tizio entra in crisi ed inizia a spiegare mille altre cose che riguardano una stupa, precisando che stupa è la montagna di mattoni a forma di imbuto rovesciato mentre la pagoda è tutto il complesso che la ospita. E vabbè, ti do un'altra chance: siccome qui in Myanmar sta per iniziare l'anno 1378, da cosa deriva questa numerazione? In occidente lo zero è la nascita di cristo, in Thailandia lo zero è la nascita di Buddha o una cosa simile...qui? 
Entra di nuovo in crisi...e ben che sto qui è uno di quelli che si è spinto più di altri nel percorso religioso, conosce un sacco di regole ecc, ma non sa perché l'anno sia quello. Domanda che Matteo aveva posto anche alla receptionist dell'ostello di Yangon, ricevendo anche lì come risposta un "Non lo so".
La risposta la fornisce internet, basta cercare
ma Matteo continuerà a chiederlo ogni volta che potrà, per sentirlo dalla bocca di un birmano.
Vabbè, giunti all'hotel di Mandalay, ci chiedono se abbiamo prenotato la camera a 5 dollari in meno che non quella effettivamente prenotata. Ovviamente rispondiamo di sì, e ci portano al quinto piano, sul tetto, sopra il quale hanno costruito delle camere, con i muri roventi data la calura diurna. Si prospetta una notte di lacrime e sangue, ma ci facciamo rapidamente cambiare camera.
La mattina seguente la passiamo a cercare una camera decente in città, ma dobbiamo fare i conti con il water festival. La situazione qui a Mandalay è una specie di guerriglia anarchica, dove giri per la città guardandoti le spalle e quando incontri il bambinetto armato di secchio pieno cerchi di scartarlo con mosse improvvise oppure te la batti a gambe levate. Probabilità di successo = 25% scarso.
Trovata la camera, torniamo in albergo a prendere le nostre cose e arriviamo incolumi nel nuovo albergo.
Ora, diciamo la nostra su questo festival: è una gran rottura di palle. Ma non il festival in se. Vogliamo dire, lo scenario è un Paese chiuso per ferie (Paese,=qualsiasi servizio) musica ad ogni angolo della strada e gente che si fracassa di secchiate d'acqua tutto il giorno per 10 giorni. Quindi esci in costume e maglietta se sei un maschio, chiudi telefono e soldi in buste sigillate e giri la città come Bruce Willis in uno sparatutto. Bello eh...per un pomeriggio! Non per dieci giorni!
Poi ci sono occidentali che vengono qui apposta e non gliene frega niente del resto. C'è uno qui sotto l'albergo che sono 2 giorni che lancia acqua alla gente. Due giorni. E magari lo faceva pure prima che arrivassimo. Per larga parte della giornata insieme a lui ci sono altre 20 persone che fanno lo stesso. Mah, magari come al solito siamo noi a non capire.
Posati gli zaini siamo andati a fare mezzo giro della città, che pare davvero irrimediabilmente brutta. Yangon al confronto è un capolavoro rinascimentale. In compenso abbiamo mangiato in un baracchino, del cibo indiano molto buono (tutto fritto, prevalentemente samousa) e così leggero che lo stavamo ruttando ancora all'ora di coricarci.
Antico e moderno si fondono
Il resto ce lo siamo pappati
Che bontà!
Abbiamo visto la stazione dei treni, complesso lasciato a se stesso e dove abbiamo cercato di mettere a fuoco come fuggire da questa città.
Una volta rientrati in albergo per sfuggire alla canicola, lavati ed asciugati, guardiamo fuori dalla finestra e non ce lo dice il cuore di uscire di nuovo e farci infradiciare di acqua schifosa. Ma in tanti sembrano spassarsela alla grande e chissà che in un futuro prossimo più turistico, anche questa non diventi una festa degenerata, cosa che comunque sembra difficile visto che  non si può viaggiare in questo periodo, al momento.
Stamattina, comunque, abbiamo noleggiato un motorino con l'intenzione di fare qualcosa per sfruttare il nostro tempo in terra birmana. Sapevamo che ci saremmo annegati, ma non possiamo chiuderci in gabbia!
E così via per le strade, a farsi prendere a secchiate d'acqua. La menata è che Matteo viene da un'infezione all'orecchio, che guarda caso affaccia sul marciapiede. L'ulteriore menata è che non è che tirano l'acqua bassa, ma sempre in faccia, tutta nell'orecchio e nella bocca. Fanno anche male!
E dopo un po' non è più divertente.
Vabbè, abbiamo raggiunto il ponte pedonale in teak più lungo del mondo (U-bein bridge), la seconda attrazione più visitata del Paese, ma siccome siamo nelle festività nazionali, dimenticati il ponte di legno mezzo deserto al tramonto, qui è una calca di persone, per lo più turisti locali, tutti che vogliono la foto con noi.
Poco prima del ponte, oltre ad essere stati inondati di melma, abbiamo visto davvero la povertà qui in Myanmar. Gente che vive in patetiche capanne di bambù o direttamente sulla strada, tutto intorno brandelli di plastica e sacchetti, tanto da farti venire il dubbio che il tutto non sia stato costruito su una discarica. Mucche depresse ruminano immobili, un bambino che a bordo di questa che è a metà tra la strada sterrata ed il sentiero, accovacciato, fa la popò lì in mezzo, dove tutti camminano, si siedono, giocano, vivono.
Arrivati in vista del ponte Silvia va a vedere una pagodina,
Ingrandite questa immagine per vedere la foglia d'oro vero!
Prolunga nera della custodia waterproof :)
Il nostro motorino. Tutto sommato niente male
mentre Matteo rimane ad osservare la scena intorno a lui. I poveri sono poveri tutti allo stesso modo ovunque. Ti viene da chiederti perché non possano tenere un minimo ordinato lì intorno, perché non possano tagliare le erbacce sotto quelle sedie di bambù messe in circolo, perché sia tutto così sporco. Ma la risposta sta già nella domanda. Ti accorgi anche che senza plastica, non ci sarebbero rifiuti.
Ci sono latrine pubbliche che sono in pratica dei cessi da campo.
Sullo sfondo il ponte pedonale in teak...che calca!
 Quando Silvia fa per uscire, arriva un tizio con una scimmia, ma per una foto vuole soldi. 
Esce un giovane vestito con vestiti di altri tempi, l'unico visto finora. I giovani ormai si vestono come in occidente, ma guardandolo ti rendi conto che con il suo longyi, la sua camicia, la borsa e il fazzoletto a fasciargli la testa, ti mostra cosa avresti trovato qui in un'epoca precedente.
Procediamo sul ponte, e gli smartphone ed i selfie ci ricordano l'epoca in cui viviamo.
Giù dal ponte, sul fiume, si vedono dei tendoni-bar che hanno la particolarità di farti godere i tuoi snack e bevande seduto in acqua...ci evitiamo di gran carriera l'attrazione e ci chiediamo quale sia l'utile in tutto ciò.
Guardate attentamente dove poggiano le sedie!
Grazie a due poliziotti, riusciamo a capire la direzione per la Jade Pagoda, la pagoda di giada, ed infine in qualche modo la raggiungiamo. Anche qui è un delirio di turisti locali che ci guardano, ridono, fanno battute e ci chiedono foto. Silvia rimane subito colpita dalla bellezza, Matteo rimane colpito da una signora che immerge la bocca nelle piscine ornamentali e si fa una golata d'acqua.......

Color verde marino-bianco
Color giada verde acqua ..purtroppo il faro che lo illuminava
toglie il vero colore
Finita la visita speriamo che le bancarelle circostanti ci mostrino un  oggettino in giada degno di nota, ma i pezzi di vetro o plastica sono tutti uguali.
Ai bordi del complesso maschi e femmine che orinano per terra. Cerchiamo lo scorcio intrigante, lo sguardo intenso, la poesia, ma la realtà è veramente poco invitante. In più il rumore, l'acqua, l'aria ed il sole procurano a Silvia un gran mal di testa, quindi fuggiamo in sella al nostro bolide verso un angolino intravisto durante il viaggio d'andata, lontano dal frastuono.
Dolorante, ma con makeup originale birmano!
Tahnaka tree
Il dolore ti fa brutta (molto brutta)
Riposo probabilmente sacrilego
Una volta che Silvia si è ripresa, rimontiamo in sella per il viaggio di ritorno, nel quale siamo un po' più scaltri, ma ugualmente bagnati. Probabilmente vediamo anche un morto perché c'era un motorino capottato e Silvia ha visto una a faccia in giù, immobile...i caschi qui sono inesistenti. La guida non è folle, ma tant'è...
Cerchiamo un ristorante vegetariano in città, e dopo essere andati avanti ed indietro più volte, non lo troviamo ma entriamo in un bar che dovrebbe essere stato di fianco...Matteo si siede a tavola e.....secchiata d'acqua ghiacciata in testa. L'istinto di prendere il tizio per il collo è veramente forte...
Siccome il padrone e le cameriere parlavano inglese già capiamo che vuol dire: prezzi "alti", porzioni scarse e qualità bassa. Detto fatto, quindi solo Matteo mangia...visto la sua incapacità a dir di no.
Una volta arrivati davanti all'albergo troviamo in solito tizio di cui ad inizio post, pronto a bagnarci. Inchioda, dietrofront e facciamo il giro dell'isolato per entrare di lato...la cosa non serve, ci pensano altre due postazioni a farci arrivare fradici in camera.
Tutto questo in mezza giornata, senza aver visto uno dico uno occidentale in tutto il tragitto...probabilmente erano a letto e si sono svegliati giusto a mezzodì per iniziare un'altra giornata a secchiate d'acqua (supposizione verificata parlando con uno di loro stasera).
I prossimi giorno sono un'incognita...Raja Ampat ci manca un po' (molto a Silvia).

Ci sentiamooooo

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